Tra le creste ed i colori autunnali del parco


Un paio di volte, in pieno inverno, bloccato da difficoltà tecniche o mancanza di attrezzatura adeguata, una terza bloccati dai custodi del parco che avevano intuito le nostre intenzioni (sarebbe bello poterla dire tutta sui divieti del PNALeM, ma sarebbe come parlare al vento), la volta in cui …quelli di Aria Sottile hanno centrato il traguardo saltata per motivi familiari, un inseguimento che dura ormai da anni ha trovato compimento in una giornata perfetta di inizio autunno, una di quelle giornate dove tutto sembra essere stato costruito per te, dal clima, alla temperatura, ai colori della natura che stanno percependo l’incombente autunno. Insomma, forse valeva la pena attendere, forse era scritto che dovessi godermi fino in fondo e nella maniera migliore questo spicchio di Appennino. Non mi va di dare enfasi a qualcosa che non dovrebbe essere nemmeno compiuto, ma è anche impossibile non parlarne affatto, un po’ perché le attuali regole gestionali dell’afflusso al parco, in particolare ad alcune sue vette, sono davvero poco logiche e per niente costruttive, incentivanti, comprensive e soprattutto perché la giornata veramente perfetta merita di essere raccontata. Anche Augusto aveva un debito aperto con una cima del parco, col monte I.; l’ironia della sorte era che i miei debiti non coincidevano affatto con quelli suoi. Da prima dell’estate si era proposto per accompagnarmi per cercare di chiudere i miei conti con le vette del parco per permettermi così di avvicinare la fine del gioco targato Club2000; e allora, ci siamo detti, se ami davvero andare in montagna, se davvero ti piace l’avventura, perché non mettere insieme i fattori comuni e tirar fuori un progetto ancora più bello e complesso? In questo Augusto è imbattibile, e lo è stato anche questa volta, si è messo al lavoro, ha modificato un paio di volte il progetto dell’escursione e non rimaneva che trovare la giornata giusta. Ovviamente sulla base delle condizioni meteo che quest’anno sono state molte volte preponderanti nel far diventare una bella escursione una disavventura. C’ho messo lo zampino per decidere l’ingresso di attacco al sentiero, ed in corsa nel bel mezzo dell’escursione stessa, per invertire il senso di marcia sulla base di valutazioni oggettive sul posto, per adattare al meglio orari, possibilità di percorrere sentieri agili ed è uscito un anello indimenticabile. Per favorire una partenza mattutina senza alzatacce antelucane si è deciso di dormire fuori la sera precedente, cosa che ci ha permesso di essere già in cammino alle 7, a giorno ancora non fatto. Accesso dal sentiero K6 e poi K5 fino al Lago Vivo, poco più di un ‘ora per coprire i 560 mt di dislivello fino al lago. Attorno al lago finiscono i sentieri praticabili, l’intenzione era di salire fino all’imbocco di Valle Cupella e l’abbiamo fatto per un sentiero ben formato, segno di frequentazione assidua, per poi salire direttamente al monte I. Salire a Valle Cupella è stato come iniziare con un antipasto appetitoso un pranzo che chiude una astinenza prolungata; il cielo stava perdendo il biancore lattiginoso delle prime ore della giornata mentre il sole accendeva i boschi che attraversavamo. Colori accesi e contrasti forti, una volpe accucciata a volersi forse nascondere, il lago vuoto con un solo rigagnolo nel mezzo ed un tepore di fine estate piacevolissimo erano le prime portate di quella che sarebbe diventata una abbuffata di natura grandiosa e benevola, di paesaggi e perché no anche di fatica gratificante. Nella vastità di Valle Cupella gli spazi si sono allargati, davanti l’intera cresta rocciosa delle montagne del parco , con l’intrigante piramide dell’anticima Sud del P. in bella evidenza, era un inno alla gioia, una pallida serie di cime e selle rocciose che contrastavano nettamente con i colori infuocati del bosco a valle e il turchese dell’azzurro del cielo sopra. Una sbiadita e grossa luna bianca appena sopra la vetta dell’anticima Sud del P. era il vezzo del divino pittore. Il sentiero a salire verso il monte I. non era affatto tracciato, come avevo sospettato, c’era da ricavarselo all’interno del bosco, all’interno delle vallette e fossi che salivano verso la sella, mentre le linee erano più logiche all’interno di Valle Cupella, un sentiero visibile in distanza filava a mezza costa e sembrava raccordarsi con la cresta che saliva direttamente all’Altare. A quel punto il nostro anello sembrava più semplice, più panoramico pensarlo in senso orario. Così abbiamo fatto. Attraversare Valle Cupella è stata cosa semplice e veloce , sulla sella, dove inizia la lunga cresta che filava fino all’Altare, il panorama si apriva su Valle Lunga, sulle coste del Tartaro, sul un laghetto fangoso che aveva abbeverato un branco di cervi fino a pochi minuti prima e che ora lentamente si stava spostando verso Selva bella; a proposito del dare fastidio agli animali, e delle motivazioni restringenti del parco, ma perché i cervi non sono scappati, zoccoli in spalla, al nostro arrivo? Un paio di maschi dal palco enorme controllavano placidamente il folto harem e si attardavano a chiudere il branco. Giù, accanto al lago fangoso, un runner aveva smesso la sua corsa solitaria per non perdere quel bell’incontro. Decidiamo che era un bel posto per sostare cinque minuti. Riprendiamo ancora nel bosco sopra la sella, è un tratto di ampia dorsale confuso, roccioso, avvallamenti e tratti di bosco, da percorrere molte volte in bilico sulle pietre e rocce scolpite dagli agenti atmosferici. Per uscire da quel dedalo di pietre e arbusti, come si è potuto, abbiamo abbandonato la dorsale e tagliato il pendio verso Sud fino a raggiungere i larghi pratoni che scendevano direttamente dalla cresta; li abbiamo risaliti con ampie svolte per raggiungerla un centinaio di metri prima della vetta del monte Altare. Ormai era fatta, eravamo sulla cresta delle montagne del parco, anche se sapevamo che la parte più interessante, quella più avventurosa era ancora tutta davanti. Un “omone” dalle proporzioni esagerate ci aspettava in vetta all’Altare. Non rimaneva che continuare, il momento tanto atteso si avvicinava, ormai c’ero; Augusto continuava a caricarmi sulle difficoltà del tratto prima e soprattutto dopo l’anticima Sud del P. , devo dire che a forza di parlarne un po’ di ansia me l’aveva fatta venire. Poi sempre in cresta, abbassandoci su una sella, tenendoci sul versante Ovest, ci siamo ritrovati su forti pendenze formate da prato e rocce, a salire la piramide dell’anticima Sud. La difficoltà in salita è dovuta più alla forte pendenza che alle difficoltà incontrate, un primo tratto è molto ripido ed occorre prestare molta attenzione, ma nulla di più, poi con piccoli tratti di arrampicata, seguendo linee tra le rocce, la parete appoggia e ci si trova sulla vetta erbosa, davvero minuscola, dominata da un piccolo ometto di pietre ed una scritta a pennarello a sancirne l’ufficialità. La prima delle vette del P. era cosa fatta. Tra una foto e l’altra Augusto continuava a descrivere la discesa sul versante opposto, più complicata, più esposta, più rocciosa; sorrideva ma forse cercava solo di motivarmi. Sarà stato questo il motivo per cui siamo rimasti su questa cima lo stretto indispensabile per guardarsi un po’ intorno e fare poche foto. Rivedo in effetti l’immagine della cresta in discesa verso Nord che ho impressa nella mente, estremamente rocciosa, confusa, con il lato Est molto verticale ed esposto. OK la pratica andava lavorata e a questo punto il prima possibile. Augusto davanti, io a seguire, guardingo e un po’ in attesa di più serie difficoltà. I primi passaggi anche se molto protetti erano a pochi centimetri dal vuoto che verso Est si era ora manifestato assoluto. Ad Ovest sbalzi e rocce degradavano più lentamente, sempre con una pendenza considerevole ma davano l’impressione di avere tanti appigli e tanti passaggi. Augusto si infila tra due lame di roccia, disarrampica agevolmente, ma guardandolo dall’alto lo vedevo lentamente incrodarsi in un tratto sottilissimo dove sia a destra che a sinistra intravedevo solo verticalità. Di natura più guardingo, mi guardo intorno e scorgo, sotto a sinistra, uno scivolo breccioso, stretto ma con dei begli ancoraggi sulla parete su cui appoggiava. Perché andarsi a mettere nei guai e rovinare una così bella giornata, per una frenesia da alpinismo? Augusto ne ha convenuto, ha pensato di ricordare il passaggio ma così non era, le foto successive dal basso avrebbero poi dimostrato per quella via passaggi al limite soprattutto perché non avevamo una corda a disposizione. Tornando pochi passi indietro scendendo un piccolo camino abbiamo preso lo scivolo che ci ha fatto perdere quota facilmente sotto lo sperone verticale che pochi istanti prima avevamo cercato di prendere di petto. Scendiamo e siamo costretti a risalire di nuovo su una cresta affilata e rocciosa, in un tratto non difficile ma sottilissimo, di rocce fessurate; ad Est il vuoto onnipresente, ad Ovest salti rocciosi degradanti e intriganti ma comunque poco rassicuranti. Per fortuna gli appigli non mancano, tante piccole cengie dove appoggiare i piedi, e, dove non si riesce, in un piccolo tratto, a cavalcioni sulle piatte rocce, ci siamo trovati dall’altra parte, di nuovo in un tratto sottile ma finalmente calpestabile. Non erano finite le difficoltà. Rimaneva da superare un spigolo appuntito, a sinistra non si passava o era molto complicato farlo, a destra c’era la parete che scendeva molto ripida con dei lastroni lisci di roccia. Proprio sulle cengie strette che questi lastroni formavano c’era una ottimo passaggio. Sulla cengia bassa appoggiamo i piedi, su quella più alta troviamo buoni ancoraggi per le mani, non è sembrato nemmeno difficile oltrepassare quei pochi metri, è bastato, come si dice, un passo sicuro e non curarsi di ciò che c’era a fianco, anzi, meglio sarebbe dire di ciò che non c’era. Se avessi visto le foto di quel passaggio prima, qualche serio dubbio che fossi riuscito a passare mi sarebbe venuto. Mi sorprendono queste situazioni ma sono l’indubbio segno che è l’esperienza l’elemento che fa la differenza! Superata l’anticipa Sud il più era fatto; rimaneva da verificare solo l’incognita della discesa che avevamo messo in programma dentro il canale tra il P. e la sua anticima Nord, sapevamo bene dalle tante foto studiate dai vari versanti che sembrava fattibile, ma bisognava toccare con mano. Per la salita al P. si è trattato di superare un ripido dislivello tra roccette e prati, la cosa più bella è stata l’emozione di esserci finalmente ed il panorama totale che si godeva da lassù. Era la mia prima volta su questa vetta e su questa cresta, forse l’ultima, credo sia giusto fare questo proposito per non voler stacciare completamente le attuali regole del parco anche se non sono del tutto condivisibili, ma ciò che sentivo era confusione. I panorami erano conosciuti, ma le prospettive erano nuove e poi… ero finalmente lì sulla vetta del P. Alla faccia del divieto, dopo pochi minuti arrivano da Val Canneto altri sei escursionisti; alla faccia del divieto, su tutte le cime ci sono piccoli o enormi omini di vetta; alla faccia del divieto sulla vetta del P. c’è una piccola croce con tanto di Gesù crocefisso. Vette molto frequentate evidentemente, che l’azione del Club 2000 mt abbia fatto attenuare il livello di attenzione dei custodi del parco? Dal P. all’anticima Nord solo una piccola sella e poche centinaia di metri di pratoni e roccette. In mezzo, ad Est, il canale che avevamo scelto per chiudere l’anello e collegare la cresta fin li percorsa allo I. ; era ripido, la prima parte rocce ed erba, poi un ghiaione infinito ma si poteva fare, eccome se si poteva fare. Rassicurati per la discesa diretta verso lo I. ci siamo goduti l’anticima Nord, da dove si riesce a vedere un tratto del verde smeraldo del lago di Barrea. Missione compiuta, ero ora ad una sola vetta per l’ultimo traguardo del Club 2000, che sarà in Majella, sul monte Pizzone e che rimando al prossimo anno, ma non ero felice per questo; finalmente avevo pagato il debito, esaudito un desiderio antico che rischiava di crescere nella mia fantasia come fosse l’eldorado impossibile da raggiungere . Non rimaneva che sbrigare la pratica I. , una prima e quindi nuova conquista per Augusto. Scendiamo dentro il canale tra le due ultime vette. Prima un corto traverso tra rocce ed erba per perdere un po’ di pendenza, friabile e scivoloso, fino a guadagnare il centro del canale; scivolando accanto alle rocce strapiombanti si scende velocemente fin dove si allarga e dove è possibile seguire traiettorie più lunghe ed oblique. Dentro, più in basso è una pietraia trattenuta da grossi ciuffi d’erba cresciuti un po’ dovunque ma si scende velocemente, a volte qualche pietra rotola e ci fa mancare la presa e perdere l’equilibrio, i bastoncini sono più che mai utili, direi quasi indispensabili. Dall’alto il canale sembrava breve, da dentro risulta profondo e interminabile, certamente suggestivo e selvaggio e davvero, credo, poco frequentato; è un esercizio di equilibrio arrivare in fondo dove occorre superare massi ancora più grossi. La parete del P. è strapiombante, in ombra assoluta, è una immensa macchia scura che contrasta con l’azzurro del cielo. Superiamo il fondo della conca e risaliamo su quella che sembrava essere una facile pratica da superare, la sella fino allo I. . E invece no, il tratto che congiunge a fondo valle le due montagne è un susseguirsi di fossi e avvallamenti, alcuni che scendono repentinamente e ti costringono a improvvise deviazioni, altri formati da grossi blocchi di pietra superabili solo saltando dall’uno all’altro, alternati a profonde piccole fosse. Altri tratti sono invece prati incastrati all’interno di piccole forre e tutti, ma proprio tutti contornati, immersi nel più bello e colorato bosco che abbia mai visto sui nostri Appennini. Alberi infiammati di giallo e di rosso che fanno da contorno ad uno dei luoghi più riservati e meno frequentati dell’intero Appennino; bello, bellissimo angolo del parco. Non è stato facile trovare l’accesso allo I. , nel folto del bosco, la parte bassa della sella è un vero intricato “frattone”; il fogliame, dai mille riflessi e colori è bello quanto vuoi ma impediva il più delle volte di capire la posizione; le moli delle piramidi dello I. davanti a noi e quella del P. dietro di noi, erano quasi sempre visibili o intuibili, ad ogni passo lo I. era sempre più verticale sopra di noi eppure ad ogni passo sembrava che ci inabissassimo sempre di più nella sella e che questa non avesse mai fondo. Abbiamo cambiato direzione ad ogni passo, per evitare tratti di bosco troppo fitti, o per evitare buche e dirupi, ed alla fine, con un po di esperienza e con un po di fortuna siamo usciti dal bosco proprio dove iniziava uno scivolo erboso che permetteva di salire la montagna. Un po di ginepri, qualche tratto ripido e qualche piccolo gradone ci siamo trovati rapidamente fuori dal tratto complicato, sul lungo tondo spigolo che saliva fino alla vetta. Un pratone inclinato, e a questo punto, dopo le tante belle sorprese naturalistiche vissute fino ad un attimo prima, anche noioso. Augusto filava come al solito come un treno, andava ad aggiungere una nuova vetta al suo CV da montanaro, io arrancavo; l’adrenalina scemata, anche le novità e l’eccitazione delle nuove montagne che avevano consumato tutta l’energia stavano facendo i loro danni, però, anche se lento,salivo. Bello il panorama dallo I. , un grosso omino su una ampia e piatta vetta, la vista sul lago di Barrea e la posizione centrale nel parco, ne fanno una montagna bellissima, completamente accerchiata dai boschi. Con Augusto abbiamo rivissuto l’intero giro che avevamo compiuto, dalla vetta dello I. è praticamente tutto visibile, dal lago Vivo in poi, l’intera valle Cupella e poi le creste, le vette ed infine il profondo canalone che scende diritto alla sella tra lo I. e il P. Avevamo tanto studiato la discesa, la sua fattibilità; non avevamo relazioni o esperienze di altri, ci siamo affidati allo studio delle sole foto del territorio che avevamo a disposizione e ci è andata bene. Temevamo il canale, soprattutto nella parte ripida in alto ed è stato invece facile da superare, anzi scendere; pensavamo fosse semplice passare il breve tratto di sella invece proprio li abbiamo trovato le difficoltà più grosse. Sembrava una sella unita, omogenea, ma così non è, è scomposta e brulla ma si è fatta passare alla fine senza troppe peripezie. Anche in quel momento, riguardando in giù dalla vetta dello I. passare quel tratto sembrava più semplice di quanto non fosse stato effettivamente. Ma siamo passati, ed è anche molto più frequentato di quanto non ci si aspetti. Due voci all’interno del bosco rimaste senza volto e due escursionisti che scendevano dallo I., nel giro di quaranta minuti, sono parecchie le persone incontrate , considerando anche il posto assolutamente privo di sentiero e tra i più isolati e difficili da raggiungere dell’intero Appennino. Non rimaneva che chiudere la giornata, scendere i 1000 metri di dislivello che ci separavano dalla macchina. Mille metri di dislivello che ad onore del vero sono stati una passeggiata di meno di un paio d’ore; prima per pratoni sulla cresta Sud dello I. fino ad infilarsi nel canale poco ripido che entra nel bosco. Di nuovo un trionfo di colori ed un manto di foglie secche a terra, silenzio rotto solo dai nostri scarponi che creavano una profonda traccia nel cuscino a terra. Una mezz’ora di bosco verso Sud fino ad uscire di nuovo allo scoperto nei pressi del lago Vivo dove si chiude l’anello sull’imbocco della valle che ci riporta alla base di partenza. Nei pressi della Sorgente del Sambuco, ormai in basso, ne approfittiamo per darci una sistemata, l’acqua è freddina ma è piacevole rinfrescarsi e togliersi di dosso un po di stanchezza , ne viene fuori una specie di doccia che ci rimette davvero in sesto. L’auto è a dieci minuti, nemmeno il tempo per godersi a pieno il successo dell’escursione che si è conclusa oltre le più belle aspettative. Essenziali note tecniche dell’escursione : 21,5 km, 9 ore, 1650 mt dislivello.